Moving From
Nicola Di Croce & Caterina Gabelli
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Curated by Barbara Nardacchione

Versione italiana

English Version

Moving From / Corte Zurlin to Campo San Boldo

asa nisi masa, galleria d’arte contemporanea online, è lieta di presentare, nel suo quarto appuntamento, Moving from, progetto audio/video di Nicola Di Croce e Caterina Gabelli a cura di Barbara Nardacchione.

Il continuo movimento da un luogo ad un altro, da una nazione ad un’altra, così come da una casa ad un’altra, porta a leggere il trasloco come processo continuo di sintesi, da un lato, e di accumulo dall’altro. Due tendenze che viaggiano parallele e seguono approcci differenti alla memoria, alla nostalgia dei segni diventati quotidiani, al passaggio verso un nuovo organismo di abitudini.

Se pur il processo di sintesi impara, in questo costante trasmigrare, a fare bagagli sempre più leggeri, abbandonando di volta in volta i feticci che ha incontrato, non si sottrae però alla memoria del passato. Così, dove ogni segno tangibile si assottiglia, si smaterializza, la memoria diventa suono: scheletro e traccia di una presenza, repertorio di segni che danno senso ai luoghi in cui ci si ritrova solo temporaneamente.
Il suono – e la registrazione – è il mezzo attraverso cui si costruisce una narrativa dell’abitare, personalissima e densa dei caratteri acustici in cui la casa è immersa, satura del paesaggio di segni ascoltabili dentro, e soprattutto fuori, dalle sue mura.

L’accumulo cerca invece in ogni nuova dimora le tracce di un percorso iniziato altrove, ricostruisce il suo ambiente attraverso quell’insieme di oggetti in cui può riconoscersi. Ciascun elemento è allora destinato a riposare solo temporaneamente in un luogo, e si combina agli altri per dare forma alla scenografia rassicurante che marca il territorio in ogni spostamento. Ma l’accumulo è anche archivio, collezione, raccolta di simboli selezionati accuratamente per dialogare col novo ambiente che si è scelto di abitare. La fotografia e il disegno sono quindi i mezzi a disposizione per raccontare questi paesaggi scenici.

Il lavoro di Nicola Di Croce e Caterina Gabelli viaggia su questi due canali che si esprimono attraverso il tessuto sonoro composto da una serie di registrazioni ambientali – prima di lasciare la prima casa, durante il trasloco e poi nella nuova casa – editate in 4 brevi brani, questi ultimi animati dalle illustrazioni in movimento rappresentanti le quattro situazioni abitative. L’insieme investe chi assiste giocando sull’unione di dispositivi che trattano una memoria casalinga in modalità e con risultati completamente differenti.

Lo spettatore non è di fronte a quadri sonori di una stessa ipotetica casa, quanto a una serie di situazioni diacroniche, ambienti temporalmente e spazialmente distanti, legati dalla presenza di elementi/oggetti che ci introducono in un percorso coerente.

Il racconto che emerge si completa unendo l’ascolto alla visione, l’esterno con l’interno e, nel suo narrare, innesca un succedersi continuo di avvicinamento, adattamento ed affezione verso i luoghi del transito.

La mostra sarà online da mercoledì 1 aprile alle ore 18.00 fino a domenica 3 maggio.

Biografie

Nicola Di Croce nasce a Potenza nel 1986.

È architetto, musicista, compositore e ricercatore con base a Venezia.

Il suo principale oggetto di ricerca è il rapporto tra suono e territorio. Le pratiche dell’ascolto e della registrazione portano insieme ad una nuova percezione dell’ambiente dove il linguaggio acustico diviene strumento narrativo e progettuale. Frammenti da ricomporre come veicolo essenziale per la comprensione e la ridefinizione del contesto spaziale.

Ha pubblicato diversi album acustici ed elettronici, scritto ed inciso musica per cortometraggi, installazioni e produzioni multimediali, lavorando per prestigiose istituzioni culturali come la Biennale di Venezia.

Membro e curatore dell’Archivio Italiano Paesaggi Sonori, è attualmente dottorando di ricerca presso lo IUAV, portando avanti una ricerca sulla cultura orale ed il paesaggio sonoro delle aree marginali italiane.

www.nicoladicroce.com

Caterina Gabelli nasce a Padova nel 1984.

Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti a Venezia, diplomandosi in Pittura nel 2007.

Dopo un periodo di studi all’Università Politecnica di Valencia ha ottenuto il diploma specialistico in Grafica d’Arte e Disegno all’Accademia di Belli Arti di Venezia.

Il suo lavoro predilige il disegno come mezzo espressivo, accompagnato da una ricerca che vede costantemente coinvolte la fotografia, la grafica, le tecniche di stampa e il cinema d’animazione.

Ha partecipato a diverse esposizioni e dal 2008 è co-fondatrice di Studio Fludd, collettivo che promuove numerosi progetti in ambito creativo.

Attualmente vive e lavora a Venezia.

www.studiofludd.com

caterinagabelli.tumblr.com

Intervista

Moving from. Già il titolo ci pone una domanda: Da dove partiamo?

Caterina – Da quella che è stata la nostra prima casa.

Uno spazio che assomigliava un po’ a un rifugio di fortuna, aveva il tetto bucato e abbiamo potuto starci molto poco.

È stato difficile andarsene, era un posto scomodo ma che in qualche modo avevamo trasformato in qualcosa di magico. Partiamo quindi dal luogo in cui ciascuno di noi si stabilisce e poi è costretto a lasciare.

Nicola – Infatti moving “from” e non moving “to”, quasi per dare attenzione a quello che si lascia, prima di dedicarsi al nuovo, per sottolineare quel senso di affezione che si era andato costruendo, anche solo in pochi mesi, quella trama di abitudini che da un giorno all’altro sparisce. È una cosa inevitabile, e ci si abitua a queste perdite, ma resta sempre qualcosa, che è difficile da raccontare, difficile da spiegare a parole. Dunque non importa tanto da dove si parte, è un momento già successo e che continuerà a succedere, tanto vale imparare a collezionare i frammenti di ogni spostamento.

Possiamo ritenervi, ritenerci, una generazione di nomadi. Data l’assenza di destinazione qual è la natura di questo progetto? Si può ritenere un progetto concluso o, meglio, che potrà mai concludersi?

Nicola – Sarebbe banale dire che l’assenza di destinazione potrebbe essere essa stessa una delle suggestioni che il progetto propone. Credo però che l’attitudine a non banalizzare ogni nostro “passaggio” da un luogo all’altro, da una meta all’altra, non sia da sottovalutare. Costruiamo di volta in volta i nostri archivi, ovvero la maniera migliore per raccontare il nostro percorso, le nostre scelte, e allora si può dire che quest’attitudine vada oltre il progetto in sé, ma sicuramente trovare un modo per portarlo avanti è un’ottima idea, forse cambiando forma di volta in volta, a seconda anche delle suggestioni che i luoghi stessi ci suggeriranno.

Caterina – Sì, siamo davvero una generazione di nomadi. Da quando vivo a Venezia, nell’arco di quattro anni ho cambiato sette case, per non parlare di chi cambia città, costretto ad esplorare sempre nuove possibilità lavorative.

Probabilmente prima o poi arriverà la stabilità, ma intanto non possiamo far altro che accettare questa condizione, per vivere bene.

Il progetto inizia da una casa e termina in un’altra casa, ma il punto finale e quello iniziale coincidono, la scena riparte come un loop inevitabile.

Cosa resta allora di un trasloco?

Nicola – Possiamo interpretare la pratica dell’archiviazione, di suoni come di oggetti, l’atto nostalgico di chi non può (non vuole) portare con sé i luoghi che abbandona; e allora disegnare gli spazi attraverso gli oggetti accumulati diventa la continua riformulazione del domestico. Ma se l’attenzione alle impronte acustiche è imprescindibile dal luogo presente, e spinge per questo ad ascoltare “fuori”; la continua riconfigurazione dello spazio attraverso gli oggetti collezionati sembra guardare invece al “dentro”, all’interno.

Caterina – È come se gli oggetti in qualche modo diventassero un feticcio, un pezzetto da portare con sé del luogo che si sta abbandonando.

Nicola – Di un trasloco resta la nostra maniera di ricordare le abitudini costruite attorno ad una casa, per risalire a quella quotidianetà unica e irripetibile.

Nicola, i tessuti sonori che hai creato sono l’essenza delle case che hai vissuto e che vivrai. Quali sono le tracce che ti fanno sentire più “a casa”?

Nicola – Ci sono due elementi provenienti dall’esterno che, più di altri, segnano il mio rapporto “acustico” con un luogo. Prima di tutto i segnali riconducibili allo scorrere del tempo, quelli che mi riportano al momento presente come il suono di una campana, così come le abitudini dei vicini, le loro sveglie, o lo spazzino che suona alle 8:10. Sono segnali che si impara a riconoscere col tempo, e che vanno a costruire una mappa di punti di riferimento. Il secondo elemento prende invece forma dai caratteri identificabili in uno specifico luogo, quelli che altrove, in un’altra casa, non si potrebbero ascoltare. Sono elementi che mi riportano ad una scala più ampia, quella della città, o anche della nazione che si sta abitando. Da Campo San Boldo posso ascoltare i gondolieri che gridano “OE” girando l’angolo, o i musicisti di strada subito dopo il ponte, che non si sono ancora stancati di Minor swing

Attraverso queste brevi composizioni ho lavorato con un archivio di registrazioni effettate prima durante e dopo il nostro ultimo trasloco, la presenza del field recording è dunque lo scheletro “identitario” su cui si aggrappano una serie di frammenti melodici, suonati ed editati per aggiungere un ulteriore livello di lettura e di dialogo/non dialogo con le immagini.

A Caterina: all’interno del lavoro, agisci nell’ambito del processo di accumulo. Anche in relazione alla tecnica che utilizzi mi domando: esiste una sintesi anche in questo accumularsi?

CaterinaSì, l’accumulo ha a che fare con processo molto quotidiano, un meccanismo psicologico di cui sono consapevole fino ad un certo punto e che appartiene a più generazioni della mia famiglia, da mia madre a mia nonna, un processo quindi trans-generazionale.

Visto che però oggi siamo più nomadi di un tempo, mi vedo costretta ad interrogarmi più a fondo, per l’impossibilità di portarmi dietro tutto, e per l’assurdità stessa di questo processo. Che si lega all’abitare, ma non solo, da sempre l’uomo si circonda di oggetti, si affeziona, mi vengono in mente tutti i tesori di oggetti quotidiani nascosti nei sarcofagi e nelle tombe di varie epoche. Gli oggetti hanno a che fare anche con la morte. Accumuliamo con la speranza di non restare da soli, consapevoli che poi gli oggetti resisteranno nel tempo molto meglio di noi.

Il disegno racconta questo accumulo, ma anche lo scarnifica, gli oggetti diventano ombre, simulacri di quello che resta di questi viaggi e traslochi. È come se cercassi di raccontare qualcosa di molto semplice e quotidiano con la consapevolezza che esiste un oltre, che, per citare il filosofo Eraclito «tutto mutando riposa».

La texture del mare ricorda gli snow noise dei vecchi VHS, negli stacchi tra una registrazione all’altra, in una versione più morbida. Che significato si può dare a quest’acqua che scorre?

CaterinaMi piace questo paragone a cui non avevo fatto caso, e lo trovo azzeccato. Mi riesce difficile spiegarti una connessione logica tra questi due elementi, forse non c’è.

Di sicuro però sono molto affezionata al dato analogico, essendo cresciuta a cavallo tra l’era analogica e quella digitale. È una costante dell’estetica che cerco, così come mi piace ascoltare le vecchie e consumate cassette o fotografare su pellicola. Ma in generale ora c’è questo ritorno all’analogico, perché il digitale, come ho sentito dire da uno storico del cinema, è insapore e inodore.

L’acqua è l’elemento onnipresente a Venezia, molto più presente di quello che si possa pensare.

È il paesaggio costante che abbiamo sotto gli occhi, è un’immagine fissa ma sempre in movimento, esattamente una sorta di “frame” in loop.

Il feticcio è quell’oggetto che viene sempre legato alla malinconia. È una volta che viene a mancare che esso diventa indispensabile e, dalla reazione alla perdita di esso, nasce il malinconico, l’individuo contemplativo.

Nel vostro lavoro il feticcio si presenta, ma in qualche modo dialoga con la sua assenza. Quale sentimento, secondo voi, vince dunque all’interno di questo lavoro?

Caterina  – Probabilmente dovrebbe decifrarlo qualcuno di esterno a noi due. Da parte nostra c’è il tentativo di raccontare una storia, che da una parte rappresenta appunto uno status generazionale, dall’altra parte ha a che fare con situazioni vissute, personali e ben specifiche. È uno sguardo che quindi da un lato si allontana, si fa esterno, si limita a narrare delle scene, dall’altro lato però porta a galla frammenti di suoni e rumori che nella nostra testa sono stati fin troppo familiari, e che ora non ci sono più. Anche gli oggetti che passano da una casa all’altra è come se avessero una scarsa fisicità e stessero sempre per scomparire. Più che una malinconia forse permane un senso di precarietà, il quotidiano si aggrappa a qualcosa che, nonostante si tenti con tutti i mezzi di afferrare, poi gli sfugge di continuo.

Nicola – Più che gli oggetti credo manchino i luoghi e le persone, per le mille ragioni. Gli oggetti sonori, così come quelli tangibili, sono quindi dei mezzi di rievocazione. Negli ultimi sei anni ho vissuto in cinque città diverse, seguendo un percorso che mi ha portato a scoprire angoli e persone diversissime. Questo continuo movimento mi ha forse aiutato a vivere ogni spostamento senza rimpianti, anche quando salutare un sistema di abitudini non è cosa né facile né rassicurante. Ma più che alla malinconia questo “lasciare” un luogo può spingerci, da una parte, a fermarci, a scegliere una “patria”, dall’altra parte ci invita a riflettere sul tempo, sulle nostre esperienze così cadenzate, così legate alle contingenze, e alla necessità di spostarci per seguire il nostro percorso.

Moving From / Corte Zurlin to Campo San Boldo

Asa nisi masa, online contemporary art gallery, is pleased to present, for its fourth appointment, Moving from, an audio/video project by Nicola Di Croce and Caterina Gabelli, curated by Barbara Nardacchione.

The constant movement from a place to another, from a country to another, as well as from a house to another, leads to read a move as a continuous process of synthesis, on one hand, and storage on the other hand. Two parallel leanings follow different approaches to memory, to nostalgia of daily signs, by going towards a new organism of habits.

Even though – in this constant migration –  the synthetic process learns to pack lighter baggage abandoning every time the collected fetish, it doesn’t run away from the memory of the past. So, where every tangible sign wears thin, memory becomes a sound: structure and trail of a presence, catalogue of signs giving sense to places where you stay only temporarily. The sound – and the recording – is the means to build a very personal narration of the inhabiting, solid in acoustic features – in which the house itself is immersed – full of sign landscapes that can be listened inside, and above all outside, its walls.

In every new house the storage, instead, looks for the tracks of a route that began elsewhere: it rebuilds the environment through a set of recognisable objects. Every element is destined to rest only temporarily in a place, indeed, and it combines with others to give shape to a reassuring scenography, marking the territory at every move. Anyway, the storage is archive, collection, combination of accurately selected symbols for a dialogue with the new environment chosen for inhabiting, too.

Photography and drawing are means to narrate these scenic landscapes. Nicola Di Croce and Caterina Gabelli’s work travels on these two channels, expressing itself through a sound tissue composed by a series of environmental recordings – before leaving the first house, during the move, and then in the new house – edited in 4 short tracks. These tracks are animated by illustrations representing 4 housing situation.

The combination runs over the spectator playing with union of devices dealing with familiar memory with completely different results.

The spectator doesn’t face talking pictures of the same hypothetical house, but a series of diachronic situations, far environments in time and space, linked one to another by the presence of objects leading to a logical route.

The emerging tale is completed by mixing listening and vision, interior and exterior and activates a continuous cycle of approaching, adjustment and affection for transition places.

The exhibition will be online from April 1st at 6 PM until May 3rd at 12 PM.

Biographies

Nicola Di Croce was born in Potenza in 1986. He’s an architect, a musician, a composer and a researcher based in Venice. His main research project is about relationship between sound and territory. Listening and recording techniques together bring to new perception of the environment where the acoustic language becomes a narrative and planning instrument. Fragments to be composed as an essential vehicle for comprehension and redefinition of  the space context. He published many acoustic and electronic albums, he wrote and recorded music for short films, installations and multimedia productions, working with prestigious cultural institutions such as Venice Biennial. He’s a member and curator of Italian Archive Sound Landscapes, and he’s currently a PhD student at IUAV, carrying on a research about oral culture and sound landscape of marginal areas in Italy.

www.nicoladicroce.com

Caterina Gabelli was born in Padua in 1984.

She attended Fine Arts Academy in Venice and she graduated in Painting in 2007. After a study period at Polytechnic University in Valencia she got a master’s degree in Art Graphic and Drawing at Fine Arts Academy in Venice. Her work prefers drawing as a means of expression, accompanied by a research constantly involving photography, graphic, printing techniques and cinema animation. She took part in different shows and in 2008 she co-founded Studio Fludd, association promoting many creative projects. She currently lives and works in Venice.

www.studiofludd.com

caterinagabelli.tumblr.com

Interview

Moving from. The title is a question itself: where do we start from?

Caterina – From our first home.

A space resembling to a shelter: there were holes in the roof and we only stood for a while.

It was difficult to leave, it was an uncomfortable place, but in some way we had transformed it into something magic. So, we start from the place where everyone settles down and then is forced to leave.

Nicola – Moving “from” and not moving “to”, indeed, it nearly gives more attention to what you’re leaving, before dedicating yourself  to something new. It’s a way to underline that sense of affection, built in a few months, that pattern of habits disappearing from one day to another. It’s inevitable, and you get accustomed to this loss, but something always remains and it is difficult to tell, difficult to explain in words. So it’s not that important from where you’re starting: it’s a past moment and it will continue happening, it’s worth learning to collect fragments in every move.

We can consider you, consider us, such as a wanderer generation. Since the absence of a destination what’s the nature of this project? It can be considered concluded or, better, will it ever be concluded?

Nicola – It would be ordinary saying that absence of destination could be a suggestion of our project. I believe the attitude to not minimize each our “passage” from a place to  another, from a destination to another, shouldn’t be undervalued. Every time we build our archives, or the best way to narrate our path, our choices, and then you can tell this attitude overcomes the project itself, but surely finds a way of carrying it on, maybe changing from time to time, according to suggestions inspired by places.

Caterina – Yes, we really are a nomadic generation. Since I live in Venice, I have changed seven houses in four years, and what about people changing city, forced to explore new work opportunities.

Probably we’ll settle down one day, but meanwhile we can’t do anything but accept this condition, for a better living.

The project starts from a house and finishes in another house, but the final point and the starting point coincide. The scene starts again, in an inevitable loop.

What are the remains of a move?

Nicola – We can interpret the act of archiving – sounds as well as objects -as  the nostalgic act of someone who cannot (or doesn’t want) bringing with himself all the places he’s leaving. So, drawing spaces through collected objects becomes a new formulation of housing. Anyway, if attention to sound tracks is essential for present place and so pushes to listening “outside”; the constant reconfiguration of space through collected objects seems watching “inside”, on the other hand.

Caterina – It’s like objects would become a sort of fetish, a piece to bring with us from the place we’re leaving.

Nicola – Our way to remember daily habits is the only remain of a move. They allow us to go back to that unique and unrepeatable daily routine.

Nicola, the sound tissues that you’ve created are the essence of the houses where you lived and where you wil lived. What are the tracks making you feel “at home” the most?

Nicola – There are two elements from outside marking my “acoustic” relationship with a place the most. First of all signs of time flowing, taking me back to the current moment like the sound of a bell, as well as neighbours’ habits, their alarm clocks, or the street cleaner ringing the bell at 8:10. These are signs you learn to recognise in the time and they build a map with benchmarks. The second element, on the other hand, takes form from specific identifiable features, that you couldn’t listen elsewhere, in another house. These are elements leading me to a wider scale, the one of the city, or event the country I’m inhabiting. From Campo San Boldo I can hear at gondoliers crying “OE” while turning the corner, or at  street musicians after the bridge who are  still not fed up with “minor swing”…

Through these short compositions I worked with an archive of recordings taken before, during and after our last move, the presence of field recording thus becomes the “identity” structure on which a series of melodic fragments grasp. They are played and edited to add an extra level of reading and of dialogue/not dialogue with pictures.

To Caterina: inside the work, you act in the storage process. I was answering to me, also according your technique: can it exist a synthesis in this storage too?

Caterina – Yes, it can. Storage deals with a very daily process, a psychological mechanism whom I am aware to a certain extent and that belongs to different generations of my family, from my mother to my grandmother: a trans-generational project.

Since now we’ re more nomadic than before, I am forced to question myself in a deeper way, because it’s impossible to carry everything with me and because this is an unreasonable process. It is related to the fact of inhabiting, but not only, all along man has been surrounded by objects, he grows fond. I remind all treasures as daily objects hidden in sarcophagus and graves at any time. Objects deal with death. We gather them hoping not to remain alone,conscious that objects will last even better than us.

My drawing tells about this storage, but it strips the flesh from it, too: objects become shadows, semblance of what remains after travels and moves. It’s like I would try to tell something very simple and daily but at the same time I would be aware that something beyond does exists. As the philosopher Eraclito said: “everything rests, while changing”.

The sea texture del mare recalls snow noise in old VHS, during the pauses between registrations, in a softer version. What meaning can be given to this flowing water?

CaterinaI like this comparison which I didn’t notice, and I find it correct. It’s difficult for me to explain a logical connection between these two elements, maybe there isn’t.

For sure, I have grown fond of analogical data, because I have grown up between the analog era and the digital one. It’s a constant theme in my aesthetics, as well as I like listening to old, consumed tapes or taking photos on film. Generally, going back to analog is a trend now, because digital means, as a cinema historian said, is flavourless and odourless.

Water is the omnipresent element in Venice, even more present than you can imagine. It’s the constant landscape under our eyes, a still image but it is always moving at the same time, exactly like a “frame” in loop.

The fetish is an object always associated to melancholia. When it is missed it becomes necessary and, from reaction to its loss, the melancholic person, the melancholic individual is born. In your work the fetish is shown, but it also dialogue with its absence. What feeling, in your opinion, prevails in it?

CaterinaProbably, this should be decoded by someone else. On our part, we’re trying to tell a story representing a generational status on one hand and dealing with personal, specific situation on the other hand. It’s an overlook at the same time external –  limiting itself to scene narration – and internal, keeping afloat fragments of sounds and noises even too familiar to our minds, and now totally disappeared.

Objects passing from a house to another have a lacking body, just like they were disappearing. Maybe a sense of uncertainty remains, rather than a melancholia. Daily routine grabs onto something that – even though you try to catch by all means – always runs away.

Nicola – I believe you miss people and places, more than objects. Sound objects, as well as tangible ones, are thus meas of memory. During last six years I have lived in five different cities, following a path bringing me to discover  very different corners and people. This constant movement maybe helped me to live every move without any regret, even when saying goodbye to a system of habits wasn’t easy nor reassuring. Anyway, leaving a place can push us – rather than to melancholia – to stop, to choose a  “homeland”. And it can also invite us to think about time, about our recurrent experiences – strictly related to contingency – and about our need to move in order to follow our way.

Moving From
Nicola Di Croce & Caterina Gabelli
The constant movement from a place to another leads to read a move as a continuous process of synthesis and storage.
1st April — 3rd May
Video n° 1
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Video n° 2
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Video n° 3
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Video n° 4
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Moving From
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Moving From / Corte Zurlin to Campo San Boldo (2015), Gif e field recordings su schermo